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FronteTerra: Un cratere fino al midollo

Scritto da on 24 Novembre 2021

Ettore Patrevita e Luca Vernacchio ci guidano nel loro viaggio attraverso i paesi del terremoto per cercare una “speranza che non tramonta mai“.

Fronte Terra è un progetto partorito in Irpinia, uno smarrimento partorito improvvisamente da una terra divisa e appesa ai respiri di chi resta nelle vene spezzate e ricucite con la saliva, di chi conosce le direzioni del vento e di come si tiene in vita un albero.

Noi testimoni passeggeri di una frana che continua a mutare, a sussurarci che i petti che abitano in una morte hanno un amore intramontabile, un respiro di una vita nella vita, zingari di un cordone ombelicale che ci tiene in una promessa quella di inginocchiarci verso un sud più a sud.

Il primo reportage fotografico realizzato è “Figli Della Luna

Il nostro documentario prende il nome di “Novanta Secondi – Orfani di un Cratere”.

L’idea di realizzare un documentario intorno al terremoto del 23 novembre 1980, nasce da una frana che viviamo ogni giorno che è quella delle aree interne appese a Cristo, forse questo è anche una parte di lascito del sisma stesso, sentirsi spaesati e al contempo al centro di una terra che respira forte ogni giorno. Anche se non siamo nati intorno al cratere ci sentiamo figli di un tremore senza tregua. Abbiamo cercato di rintracciare storie sopravvissute a quell’evento, attraversare case, luoghi e pezzi di terra che sono rimasti quasi invisibili cercando di portare alla luce una storia e un dolore da tenere in petto, per non ritrovarci un giorno disarmati davanti ad un’altra catastrofe.

Nel nostro viaggio siamo stati attraversati da un silenzio che cava il sangue, che porta a fermarsi ad ogni metro per cercare di ascoltare voci che non si sono estinte, corpi radicati ad un cielo e ad un amore che continua a parlare.

L’ultimo lavoro è un corto pubblicato il 23 novembre, un cortometraggio che abbiamo girato nei giorni scorsi per rimarcare una ferita ancora aperta in Irpinia.

Un squarcio di pelle che non ha niente da stringere, forse un mare verticale che scava a mani nude nelle schiene congelate,

ma non saranno le ultime luci di un altro pomeriggio appeso ad una gonna, che non abbiamo più niente da dirci,

perché le ombre che senti dietro alle spalle ti accompagnano quando le mattonelle nelle case scricchiolano,

è come se ci fosse ancora del tempo da respirare, uno specchio chiuso che le famiglie hanno vestito, ogni occhio mai visto e attraversato per naufragare nelle tapparelle rimaste a metà,

neanche una lingua può tenere il sangue scomparso, i sogni che coprono uno sbranamento continuo, ma con certe terre che sanno una morte non devi essere niente,

e puoi portare altri fiori sui panni lasciati sui cavi della luce, e vedere ancora calce e appalti storti,

e ossa smantellate e mai ritrovate, sentirsi deboli mentre si sfiora un silenzio aperto da un mondo primitivo, e neanche una voce che scoppia in un grido, non ora ma qui.


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