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Lupin: recensione della serie Netflix

Scritto da on 23 Febbraio 2021

L’8 gennaio è uscita la prima parte della nuova serie Netflix: Lupin. Ma dimenticate il manga e le serie animate che tutti conosciamo. Il protagonista infatti non è Arsenio Lupin, ma Assane Diop, emulo moderno del personaggio letterario di Maurice Leblanc, il ladro gentiluomo, nonno dell’ormai più famoso Lupin III. La trama di questo insolito adattamento mescola azione e crime con toni da commedia.

Il padre di Assane, immigrato senegalese, lavora al servizio della facoltosa famiglia Pellegrini. Accusato e condannato ingiustamente per il furto di un prezioso collier, l’uomo si suicida, lasciando un quattordicenne  Assane Diop senza il padre, suo unico genitore. Venticinque anni dopo il ladro gentiluomo mette in atto la sua vendetta, a partire dal recuperare la famosa collana. Assane apparentemente si guadagna da vivere a fatica, ha una moglie che non lo ama più e un figlio di cui non si occupa abbastanza. Ma dietro la facciata da uomo squattrinato e sprovveduto si nasconde un ladro abilissimo che per i suoi colpi si ispira al suo romanzo preferito che gli è stato regalato in gioventù dal padre.

La serie parte entra subito nel vivo dell’argomento, ovvero quando il protagonista è già un ladro abile e un sapiente stratega. La narrazione si alterna tra presente e passato con numerosi flashback dell’adolescenza del protagonista, approfondendo in particolar il legame con il padre Babakar.

Ma Lupin senza Omar Cy sarebbe poca cosa. L’interprete di Quasi Amici è molto bravo nel delineare un personaggio ironico, elegante e astuto che riesce a destreggiarsi tra sfide e piani elaborati. Con il suo fare scanzonato riesce a portare sulle spalle una serie che non ha una direzione ben precisa. Dopo un inizio rocambolesco con il furto al museo del Louvre, si assiste ad un cambio di registro verso toni più dark. Inoltre, nel tentativo di dare una caratterizzazione al personaggio, sono inseriti troppi contenuti per una narrazione di soli 5 episodi.

Alcuni personaggi sono indubbiamente convincenti, come la giornalista d’inchiesta Fabienne Beriot, donna forte e determinata che nonostante la sconfitta si rimette in gioco. Tra le altre criticità una polizia che non rispecchia la realtà dei fatti, totalmente inadeguata ad acciuffare Lupin. Compare anche il riferimento al tema del razzismo e dell’integrazione nella società francese. Assane è un uomo colto e raffinato, eppure spesso è salutato con un “Non mi aspettavo fosse uno come lei”, dove lei sta per nero.  La serie dipinge un quadro sulla disparità sociale: racconta le contraddizioni e i lati oscuri di una società dove sembrano vincere sempre e solo i più potenti, ricche famiglie che hanno un peso e un’influenza in molti ambiti.

“Lupin: Dans l’ombre d’Arsene” non riesce ad emergere al di là di una finalità puramente di intrattenimento. Malgrado l’idea di partenza, un grosso budget e una città come Parigi a fare da sfondo, rimane una sceneggiatura con pochi spunti originali. E’ una buona serie di puro intrattenimento da consigliare per trascorrere una serata piacevole e riscoprire il romanzo originale del ladro gentiluomo.


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